Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 360 — |
— Faremmo una pazzia sola — io dissi ridendo.
— Ma la fareste finita: sarebbe ora!
Guardai Ortensia. Ella esclamò:
— Io non voglio, farla finita! Sempre cane e gatto noi due! E il gatto sono io!
Soffiava contro al bambino e lo minacciava con le unghie.
Egli mi sfuggì, per rincorrerla.
Allora Marcella mi susurrò:
— Se il babbo non fosse cieco, o io potessi parlare....
— Zitta!
— Sì, sì: starò zitta; ma è ora di finirla! Aspettatevi un tiro birbone, Sivori!
Ed io m’aspettai il tiro birbone. Chi m’avrebbe mai detto che Marcella me ne giocherebbe non uno ma due, e uno più ardito dell’altro?
Dopo colazione, Bebe e il cavaliere — che ci promise una grande, strepitosa notizia per l’ora del desinare, entre la poire et le fromage — andarono a godersi un meritato riposo; e mentre Ortensia attendeva a faccende e Claudio e Mino conversavano fuori all’ombra con Cleto l’ortolano, Eugenia mi disse che lei e Marcella avevano una cosa da dirmi.
Marcella m’aspettava nella camera da pranzo. Su la tavola era un piccolo pacco e a quello ricorsero gli sguardi delle signore, che sorridendo l’una all’altra non mi celavano un grande imbarazzo.
— Parlo io o parli tu?.
— chiese Eugenia alla figliola.
— Tu, mamma. Sivori mi mette sempre un po’ di soggezione.