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padre del bimbo. In vagone egli aveva discorso in modo da evitane l’uso del lei, e fino a un certo punto c’era riuscito. Ma quando Marcella aveva udito uno dei compagni di viaggio susurrare a un altro: — Che moglie giovane ha quel vecchietto! — aveva essa rotto l’incanto dicendo, per una dimanda qualsiasi: — Scusi, cavaliere....
Egli però si era consolato ad ogni stazione con l’esporre dallo sportello il bambinone, che accarezzava paternamente senza timore di passare per nonno.
A dir vero la timida Marcella, che rideva così di gusto, si era fatta ardimentosa! Ne diede prova anche più vivace mentre io e Ortensia ci rubavamo il suo Bebe. Ortensia pareva divorarlo a baci fragorosi, ed io glielo rapii.
— Tivovi! Tivovi!
— Vuoi più bene a Sivori o alla zia? — gli chiese la madre.
Risposi io ch’egli voleva più bene a Tivovi, perchè lo baciava meno forte e non gli faceva male e lo faceva trottare su di un ginocchio.
— Già! — esclamò Ortensia fingendosi irritata meco: — io faccio del male anche quando faccio del bene? Cattivo! Oh come è cattivo Sivori!
E Marcella:
— Chi non vi conoscesse direbbe che siete cane e gatto, voi due!
Dimandò Ortensia:
— Ci conosci, tu?
— E come! Tutti e due.... (si battè coll’indice in mezzo alla fronte per dire che avevamo entrambi poco giudizio). Se vi metteste d’accordo, una buona volta!