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Poi Ortensia non aveva torto del tutto quando esclamava:

— Abbiate pazienza, signor dottore! Volete che i miei credano che sono tornata buona solo per voi? che torno allegra, solo per voi, che non penso che a voi?.... Ho dei rimorsi — aggiungeva più piano. — Con mo padre, quando si sforzava di nascondere il suo dolore, ero sgarbata e urtante; avrei voluto vederlo soffrire come soffrivo io. E con la mamma, quando mi ribellavo alle sue parole di conforto, alla sua rassegnazione? Mi ricordo di certe sue occhiate che adesso mi sembrano quelle di una povera creatura ferita a morte, tant’ero irritata, cattiva!... No, Carlo: è troppo presto dire a lei e al babbo che sono disposta ad abbandonarli. Lasciamo passare almeno qualche mese, che s’avvezzino un po’ a questi luoghi, a questa solitudine....

— Ma credi che tua madre non ci legga in faccia il nostro segreto e non ne goda? — le dicevo io.

— Non importa! Vorrei anzi che indovinasse tutto; anche la nostra riserbatezza. Così si abituerà meglio all’idea del mio abbandono.

....Io andavo alla Ca’ Rossa due o tre volte la settimana.

O di giorno o di sera, erano ore di felicità.

Ivi, alla Ca’ Rossa, avanzando l’estate, mi ristoravo in quella frescura spirituale che v’infondeva la novella quiete.

Ortensia m’appariva più bella nella veste umile, con il lungo grembiule attinente alla persona ardita e disinvolta; e la gola, che sorgeva bianca dal corpetto un po’ scollato e la nuca scoperta sotto l’onda dei capelli copiosi strettamente rac-