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IX.


La mia gran fede, che aveva riscossa e commossa quell’anima, la riscaldava a poco a poco.

Diverse espressioni ricorsero nelle sue lettere che significavano in lei il prossimo, compiuto ritorno a sè stessa. Questa, per esempio:


Ho sognato che mi passavi una mano su la fronte e così mi toglievi ogni antico male, ogni brutto ricordo. La dolcezza del sogno m’è rimasta tutt’oggi nelle vene; mi è parso di sognare tutt’oggi e di vivere in uno splendore.


Le mie visite non erano frequienti. Essa mi imponeva lo stesso riserbo che per il passato. Perchè?

Diceva: — Voglio aver la consolazione di dire io al babbo: «Io sono più ostinata di te, ma Sivori è più ostinato di noi due insieme! Si è messo in testa di sposarmi, e bisognerà cedere!»

Quando direbbe ciò?

Oh anche in questo indugio, che sembrava un capriccio, c’era tanta delicatezza! Prima di tutto io comprendevo tacitamente il perchè voleva rivelar lei al padre il nostro segreto.

Per quanto ottimista, Claudio come resterebbe se la notizia gli venisse da me o se Eugenia gli dicesse: — Sivori domanda, la mano di Ortensia? — D’un amico come me non era da dubitare gli domandassi in moglie la figliola in compenso dei quattrini che mi doveva; ma, insomma, per quei maledetti quattrini gli potrebbe essere amareggiata una gioia che Ortensia sperava piena e perfetta se lasciassi fare a lei.