Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/348

Carlo! impazzisco.... Tornate!... — Mi pareva che al solo vedervi mi sarei purificata l’anima e vi avrei perdonato tutto il male che mi avevate fatto, tutto il male che mi avevate insegnato!

Non resse più oltre; nascosto il viso con le palme, Ortensia singhiozzò. Io la pregavo, la scongiuravo di perdonarmi; non potevo dir altro: — Perdonami.

Ma furon pochi istanti; senza badarmi, volle pur dire come nel suo cuore aveva salvata la virtù di sua madre.

— Lottai; vinsi. Mi svegliai dal sogno. Avevo sognato che la vita, brutta per tutti, sarebbe stata bella per noi, per il nostro amore. In realtà, voi non mi avevate amata; mi eravate affezionato soltanto: sorellina! Non era stato dunque un abbandono, una fuga: era stata semplicemente una partenza, la vostra. E la malignità di Anna non aveva altro scopo che affliggermi per la simpatia che mi dimostrava Roveni. In realtà, io ero stata malata, ero malata; ma guarirei. Povera mamma! Una santa! Però dovevo imparare anch’io a stare al mondo! Non dovevo toglier subito ogni speranza a Roveni; e cercai di sopportare le sue maniere; di vincere l’antipatia che a poco a poco suscitava in me. Ma quando tentò d’imporsi con le minacce, quando tentò di profanare il segreto dell’anima mia, gli risposi no! Ricaddi; lottai di nuovo; dubitai di non guarire mai più e invocai una sventura. La desideravo per sottrarmi a quel martirio; per avere un dolore diverso.... Vi ho amato?

— Povera Ortensia! — io mormorai, con un nodo alla gola.

— La sventura venne. Voi tornaste. E io vinsi