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Dopo un fruscio d’ali e di fronde udimmo un richiamo.

Io allora feci avanzare la barca perchè ella rimovesse le fronde. E gettò un grido di meraviglia.

Un nido di folaghe....

Ma era giunta, finalmente, l’ora. Ella lo sentiva; io ebbi un tumultuoso risveglio di tutto il passato: propositi, prove di abnegazione, battaglie; vittorie angosciose; angosce di lontananza; tormenti di gelosia; rimorsi; disperazioni; speranze; tutto, tutto sarebbe stato inutile se io in quell’ora non avessi vinto!

Abbandonati i remi afferrai la destra di Ortensia; la interrogai a lungo con lo sguardo prima di parlare.

Ella sostenendo il mio sguardo aspettò le parole che non poteva più evitare.

— E la spiegazione?

Arrossì. Chiese, risoluta:

— Volete soffrire? farmi soffrire? Ebbene, son pronta! Dite dunque, dite! Che cosa volete sapere da me?

— Perchè siete così mutata con me? Perchè mi guardate con diffidenza? Perchè non vedo più nei vostri occhi la luce d’un tempo? Perchè, Ortensia, mi hai detto che non ci comprendiamo più e non comprendi tutto il bene che io ti voglio?

Stringevo la sua mano con tremito convulso. Nella mia attesa doveva trasparire il timore d’una grande speranza che stia per mancare, di una disperazione forse che stia per prorompere: ella ritrasse la destra, la passò su la fronte come a diradare e schiarire una folla d’idee confuse; poi, pallida, ma con voce più ferma della mia: