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— V’immaginate la vita delle risaiole a strappare, a una ad una, le piante maligne, con l’acqua alle ginocchia, i piedi nel fango e il sole che batte sulla schiena?

— Disgraziate anche loro! — E accennando:

— Quegli alberi là?

— Sono i salici del serbatoio. Andiamo!

In breve fummo al luogo d’imbarco; lo schifo era legato a un piuolo....

— Mi fido poco io, di voi! — fece Ortensia per un istante eccitata dalla novità.

— Alla prova! — esclamai io sostenendola all’entrar nella barca; e sciolsi la corda.

Ai primi colpi di remo, ella fu persuasa della mia valentia.

— Bravo! — Poscia guardando intorno mormorò quasi vinta: — Bello!

Infatti anche l’acqua sembrava riposare e godere in distesa azzurra, chiazzata qua e là dal verde delle ninfee e sparsa di macchie, or scarse or copiose in cannucce e giunchi, e chiusa all’ingiro dalle sponde ombrose di salici; mentre la barca procedeva piano piano, soavemente, per quella frescura.

Canerini di valle s’elevavano con un vocìo sottile, così lieto da crederlo non voci di paura ma di più viva gioia nel volo.

Finchè la barca trovò adito in mezzo alla macchia più folta e ristette dove l’acqua, bruna bruna sotto l’ombra rivelava un brivido, al rezzo.

Udimmo uno sparnazzar d’anitre e di folaghe; poi, silenzio.

— Restiamo un poco? — io domandai.

— Sì.

D’improvviso, Ortensia esclamò: — Avete sentito?