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— Ohe! Biondo! Pulicreta! Siete ancora al mondo? — urlava Moser.

Mormorava Ortensia.... (Come bella!... Vestita di chiaro; un po’ riscaldata in viso; e si levò l’ampio cappello, e il sole la irradiò):

— Il maestro ha riferito al babbo che Mino non ha voglia di studiare e che non passerà all’esame.... Non è da compatire? Ha sofferto anche lui; ora si distrae. Il babbo questa volta è stato inflessibile.... Ma — chiese forte — perchè dite che non è aria buona quaggiù?

— In primavera....

— L’aria! — m’interruppe Moser, — L’aria, sì, è sempre quella: un po’ pigra; ma buona anche qui, perchè, grazie a Dio, siamo in Italia! Il resto, bambina mia, è mutato. Tutto mutato.... Non vedi? Io non riconosco più nulla: mi sembra tutto vecchio!; fino quegli olmi giovani là mi sembrano decrepiti.

Non pensava che invecchiato era lui.

— Anche la casa è sempre quella, dici tu, Sivori? Ammetto: «Salve, dimora casta e pura!» Ma intanto il Biondo non c’è! la Pulicreta non si vede! Bisogna cantare, invece, il De profundis?... Ohe, Rita detta Pulicreta! Ohe tu che fosti il Biondo! Venite! Sorgete! Fuori!

E come Lazzaro all’imposizione di risorgere, il Biondo mosse la testa fuor della porta, poi uscì del tutto con la berretta in mano, inchinandosi al forestiere che fingeva di non conoscere. Moser rimase fermo, a bocca aperta.

Diceva il Biondo:

— Io lo ravviso...., questo signore...., e non mi posso ricordare.... Corpo....! Direi che ravviso anche quella signorina lì; e sono certo, certissimo di non averla mai vistai Certissimo!