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La domenica, al giungere del secondo treno del mattino, il vecchio indossò la giacca da festa e calcò in capo la berretta nuova; la vecchierella, ben pettinata e tutta nitida, si strinse intorno al collo un fazzoletto di seta rossa che su l’invernale gabbano di flanella a scacchi e sotto il candor dei capelli dava segno di primavera e d’allegrezza; ed entrambi s’appiattarono in casa ad attendere, palpitando. Io guardavo di fuori, dal prato.

Ahimè! Il treno giunse; ristette; ripartì; e l’attesa fu vana.

Proteste e brontolio della Rita, che aveva fatto sin la torta! Ma il Biondo ripeteva:

— Volete scommettere che vengono con la corsa delle tre e mezza?

Ci colse. Poco dopo che fu passato quel treno, eccoli spuntare.

Ma non tutti: soli Claudio e Ortensia.

Andai alla loro volta. Moser più spontaneamente lieto di quel che non fosse stato da un pezzo, sbraitava:

— È un’ora che ti chiamo! Ho cominciato a chiamarti dalla stazione! Sei diventato sordo?

E Ortensia:

— Il babbo, se non ero io a trattenerlo, si metteva di gran corsa....

— Ma è l’ora questa?... — io dicevo. — E Eugenia e Mino?

Rispondevano insieme:

— Mino non ha meritato la vacanza....

— Non ha imparato la costituzione di Servio Tullio!

— La mamma ha dovuto restare a casa a far la guardia....