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VI.


Al raccapriccio seguì tosto in me una commozione paragonabile a quella che proverebbe un credente nella subitanea rivelazione della divinità. Prevalse in mie alla visione orribile dell’incendio e della donna pazza per dolore e angoscia, l’immagine stupenda della madre che nel raccogliere salvo il suo bambino m’era sembrata impazzire di felicità; e più che la pietà del miserabile, perito orrendamente, poteva in me l’ammirazione per la forza arcana e portentosa che aveva costretto il misero padre ad esentare dalla distruzione la creatura del suo sangue. Mai, per nessun fatto che esaltasse l’amor di padre o di madre, mai io ero rimasto commosso in tal modo: una luce che non era di scienza mi illuminava ora il mistero della vita; e la ragione delle sue leggi imprescindibili e la ragione della morte mi si manifestava d’un tratto nella rivelazione del bene sommo conceduto ai viventi. Quanto affetto aveva condotto quell’uomo spietato verso sé stesso ad aver pietà del suo nato! Quanto affetto aveva sollevato la misera donna a dimenticar fino il padre dei suoi figli, che bruciava là sotto, perchè ella gioisse così, nell’istante che ricuperava il suo figliolo! Quale gaudio sublime è negato dunque a chi si rifiuta alla procreazione? che è mai la morte se non il mezzo a trasmettere questo, il maggior gaudio dell’esistenza?

Invece di dire: «la morte è necessaria a propagare la vita» si dovrebbe dine (io pensavo): la