Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 328 — |
— Quando fu a casa, e io facevo la polenta, cominciò a lamentarsi dal freddo, che per quanto fuoco mi facessi non si poteva riscaldare; e si mise a letto. In tutto ieri non volle mangiare. Ma questa sera mi sono preso paura; fa dei discorsi da matto.
Dopo ch’ella tacque, le chiesi se aveva solo quei due, figlioli.
— Ah! ne ho un altro di cinque mesi. L’ho lasciato a casa per far più presto. Dormiva.
Andavamo frettolosi; io ero incitato dalla donna che mi veniva dietro, quantunque ella tacesse e camminasse scalza. E volgevo il pensiero al disgraziato in preda alla febbre.
Se moriva, la poveretta era condannata all’elemosina. Ma la mia mente non poteva insistere in quella tristezza; invano il sentiero era oscurato ad ogni tratto dai pioppi, dalle acacie e dai giunchi: trapassando i rami e le fronde la luna, di là, pareva più fulgida, e nel chiarore diffuso sopra e intorno a mie fluiva quella pacata letizia l’illusione di una felicità tranquilla e uguale, per sempre.
Ortensia! Ortensia!
....Finchè tornai a riflettere, quasi rimorso, all’ufficio che dovevo compiere; e solo allora pensai che poteva essermi necessario un lenzuolo, per un impacco.
Chiesi alla donna:
— Un lenzuolo l’avete?
— Oh, signore! Dove vuol che l’abbiamo un lenzuolo? Sono tre anni che non ne ho più uno! Io stavo per dirle:
— Tornate indietro a prenderlo, a casa mia quando la donna fece: