Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 320 — |
chiamava un’ignota, immensa felicità....
— Ah! Non è la sua camera di una volta! — disse il padre chinando il capo sul petto; abbattuto a un tratto dal pensiero della felicità sognata un tempo per la sua figliola.
— Andiamo! — feci io. Ma nel passare dinanzi al comò guardai alla fotografia che vi stava sorretta da un’umile cornice e il cuore mi palpitò. Era una piccola fotografia di Valdigorgo, e sotto al cristallo aderiva, nel mezzo, una fogliolina di trifoglio.... Quella? Quella che avevamo raccolta insieme, un giorno, al fosso delle lavandaie?
Il puerile segno di memoria imperitura indicava, forse un’illusione non perita del tutto?
— Andiamo! andiamo! — ripetei vivamente.
Nella loggia c’imbattemmo in Ortensia che usciva dall’altra camera ove portava, la biancheria. Ella ristette con noi alla ringhiera e forse avvertì che io aveva avuta un’impressione gradevole.
— Bisognerà aumentare i vasi del giardino — le dissi— ; mi permetterete, Ortensia, di mandarvi dei garofani della mia massaia.
E Moser:
— Sono straordinari i garofani della Pulicreta; rossi come i bargigli di suo marito!
— Qui la massaia sono io e faremo giardiniera la mamma. Vita nuova! — mormorò Ortensia con sorriso amaro. Mentre il padre entrava nella camera di Mino, ella aggiunse: — Vita di pianura.
— Ma non vita bassa. Anche qui proverete gioie; fors’e quali non avete provate mai!
Lo sguardo di Ortensiia m’interrogò profondamente per interpretare tutto il mio pensiero;