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E mentre s’appagava d’essere benvoluto, egli veniva trascinato nella lotta della concorrenza. Che vita la sua in quegli anni! Audacie non impedite da affannose riflessioni; coraggio lungamente meditato ad uscir dalle incertezze; tentativi ora prudenti ora arditi, eppur vani; sconfitte saviamiente dissimulate con rare vittorie. Poi le angustie dei pagamenti; le ripulse di aiuti esosi; la resistenza inconcussa a ogni slealtà; il disdegno dei birbanti fortunati; gli sforzi inani; le lusinghe delle speranze i ritegni dell’esperienza; la lenta struggente apprensione di un’inevitabile rovina. Ma nessuno avrebbe immaginato tutto ciò quando, nelle ore di tregua, Claudio attingeva da sè stesso tanta giocondità e serbava tanta serenità nell’animo; nessuno, neppur di noi che lo conoscevamo intimamente, avrebbe indovinato così intensa fatica del suo cervello e dei suoi nervi quando lo vedevamo gioire alle semplici cune del giardino, all’umile distrazione di un giuoco alle bocce. E quel suo sorriso? Era il sorriso di un gran cuore, ma consapevole; d’uomo che guarda alle cose e agli uomini con bontà intelligente.

Avvenuta la catastrofe di tutte le speranze e le illusioni, la rovina di una fortuna composta; con tanti sudori, egli patì strazi di martire.

Aveva voluto il bene dei suoi cari e anche negli occhi de’ suoi cari temeva scorgere il rimprovero; aveva creduto meritarsi la gratitudine e la stima degli amici e gli amici (ben lo sapeva Ortensia!) lo compassionavano chiamandolo «tre volte buono», o lo cauzionavano: «che bravomo!»; aveva accarezzato il segreto orgoglio di trarre dalla miseria gran numero di operai, e gli operai lo