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XV.


E seguì il ritorno di Moser, l’incontro atteso da me e da lui con desiderio protratto ma con aspettazione timida. In lui, insieme col pudore dei suoi errori è della sua disgrazia, era il torto di non avermi confessato in quali condizioni si trovava da tempo: troppe cose io gli avevo celate e dovrei celargli ancora!; nè egli saprebbe mai quanto male io avevo fatto a lui, che aveva il cuore pieno di gratitudine per me.

«Cuor dei cuori» posso giustamente ripetere per Claudio Moser. A rammentare quel periodo angoscioso della sua vita provo un sentimento profondo e misto di tenerezza, di pietà, di ammirazione.

A che prezzo aveva scontato i suoi difetti!, primi la soverchia fiducia in sè stesso e l’ostinazione. Era ostinato. Ma nel periodo di fortuna favorevole questo difetto era pur stato la virtù per cui Moser aveva potuto dare incremento a una industria, ed egli era potuto divenire uno degli ingegneri più noti dell’Italia superiore. Al contrario e più gli aveva nociuto una virtù vera: la generosità. Valdigorgo, prima che egli aprisse la fabbrica, aveva la miseria, dei piccoli paesi che le ferrovie correnti tra città e città lasciarono in disparte; e la fabbrica Moser ridiede la vita a Valdigorgo. Se non che quei primi entusiasmi di pubblica riconoscenza appagarono il benefattore, e quanti ne approfittarono! Quanti si rimpannucciarono a sue spese!