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ta, più fiera di quante aveva sostenute e sosteneva per la sventura del padre? Aveva chiesto il mio consiglio forse per trovare nuove ragioni di confidare nella purità della mia amicizia; per accertarsi che se non l’esortavo a cedere a Roveni io, per me, non avevo da temere Roveni in nulla....
Ancora la fantasia mi tormentava. Era un sospetto assurdo! Ma se questo era assurdo, non mi pareva più tale il sospetto del dì innanzi.
A Roveni, per togliermi l’affetto di Ortensia, bisognava e bastava gettare nell’animo di lei un’ombra sinistra di sua madre e di me. Avevo creduto inverosimile che Ortensia potesse mai dubitare di sua madre. Ma la serena anima di un tempo, caduta per colpa mia in una tristezza d’amore, era stata sconvolta da una subitanea e turbinosa esperienza di male. Sua madre stessa me l’aveva detto: — Ortensia non aveva più fiducia in nessuno, in nulla. — Ed io avevo visto Ortensia in preda all’ossessione di questo pensiero: che la vita è urna lotta contro il male.
In tal condizione ella era predisposta ad accogliere per vera qualsiasi interpretazione più obliqua di due fatti che male si spiegavano altrimenti. Perchè amandola io l’avevo abbandonata?
E perchè io sacrificavo quanto possedevo a pro dell’amico, allorchè tutti gli altri amici e sin i congiunti disertavano o tradivano? Per pura amicizia?
Se a queste dimande arrivasse in risposta la calunnia di Roveni e di Anna Melvi, la colpa attribuita ad Eugenia e a me non poteva essere assurda neanche per Ortensia....
Così mi tormentavo!