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rivedere Ortensia, quand’ecco mi sovvenne di certe parole udite dal Biondo, laggiù, allorchè mi preparavo a dargli il gran colpo. A quel ricordo s’accompagnò un’idea curiosa, ridicola dapprima, quindi sempre meno strana sempre più opportuna e lusinghiera. M’aveva detto il Biondo che a Molinella era richiesto un altro medico.... Perchè no? Io ero certo che sarei bene accetto al paese e a quell’amministrazione comunale. Il dottor Sivori ridursi medico in risaia! — rimbrottava in me l’orgoglio. — Per guadagnar più che per il passato! — ghignava l’interesse. — Fine degna di un filosofo! — notava la coscienza a cui non sfuggiva la nuova contraddizione.

Infatti la mia vecchia casa, che adesso mi pareva di amare più di quel che l’avessi amata mai, poteva scusarmi del ricercare un magro stipendio là dove non possedevo più quasi nulla e di dove ero partito coll’indefinibile proposito di rifarmi, lontano, una fortuna; poteva scusarmi sin la filosofia, che consiglia di abbandonare ogni ambizione e d’essere contento del poco; ma io non speravo più nulla del mio amore. A che restare in Italia? Non solo: la minaccia di Roveni non mi intimoriva a patto che io andassi lontano da Ortensia.

Tuttavia accolsi con fretta quell’idea stramba. Scrissi subito al sindaco di Molinella proponendogli l’opera mia.... Sì, una contraddizione! Ma pensate: i miei affetti più forti eran qui, nella terra delle memorie e dei rimorsi; qui in patria avevo ripreso a vivere col proposito di umiliarmi in una attività non più inutile; qui avevo conosciuto la gioia, prima ignota, del sacrificio; qui mi tornerebbe cara la solitudine per