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mattina. Ma tutta la sua persona, cedendo a strane mosse, rivelò un turbamento nuovo e più grande. Volgeva il capo a destra e a sinistra, come una galana, per accertarsi che potevo udirlo io solo; quindi avanzando come le gambe lo reggessero a fatica esclamò con quanta efficacia d’espressione può attingere un afono: — Ha scritto!...

Moser — compresi subito — aveva scritto a lui; a lui che così pallido dava immagine di un morto con la barbetta e i baffetti tinti. Cadde a sedere e:

— Ha scritto.... Son compromesso!

Quel terrore senza ragione e, più, l’amarezza che egli manifestava d’essere sacrificato senza voglia, indegnamente, mi fecero gustare un po’ d’indugio a dimostrargli che avevo compreso.

— Ha scritto... Chi?

— Lui! — E si guardò attorno balbettando:

Ci Emme.

— Claudio Moser? — feci io a voce alta.

Il gentleman tenne per strombazzato a tutto l’albergo il suo pericoloso segreto; s’immaginò l’albergo circondato dalla polizia; e alzati gli occhi al Cielo e aperte le braccia al fato, significò che tutto egli aveva perduto benchè avesse fatto il possibile per non perder nulla.

— Moser ha scritto a lei?

Annuì col capo in silenzio; trasse dal portafoglio e mi porse una lettera. Scriveva da Genova. Al cavaliere, quale fidato amico, Moser accennava che dolorose circostanze l’avevano indotto ad allontanarsi da Milano e lo pregava di cercare di me. Mi troverebbe dove gli direbbe Guido: io, con falso indirizzo, l’informerei nel caso gli convenisse imbarcarsi....

Albertazzi. In faccia al destino. 19