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stesso modo che Learchi dalla pipa, egli attingeva forza e prudenza dallo sigaro.
— Benone! — fece poi. — Ora le concederò di giudicarmi. Solo la prego di lasciar da parte le parole grosse, che su di me non hanno presa. Amo i fatti, io. Dunque: sono accusato d’inganni. Con molta calma, come vede, rispondo che l’ingannato sono io, e glielo provo. Non ho nulla da nascondere, io!
Il suo sguardo, divenuto tagliente, compiva il significato dell’ultima frase: accusava egli me di simulazione. Ma troppio lontano dall’immaginare che cosa comprendeva quella frase «non ho nulla da nascondere, io!», non la raccolsi e attesi.
Egli proseguì:
— Per dirle tutto, le dirò anche cose che lei conosce; ma è necessario togliere ogni dubbio, ogni equivoco fra noi due.... Quando l’ingegnere Mooser ebbe bisogno di un direttore che gli raddrizzasse la baracca, mi chiamò a Valdigorgo e mi promise mari e monti. Fin d’allora aveva in vista il fallimento. Io usai tutta la mia energia per riparare; introdussi economie e riuscii a ordinare e migliorare il personale, a migliorare la produzione. Per contratto non avevo obbligo di far la metà di quel che feci: per compenso del di più non ebbi un soldo di più del meschino stipendio, e le promesse sfumarono. Ma l’ingannatone sono io! Avrei potuto trovar di meglio e andarmene subito dopo il primo anno, e lo dissi. Mi scongiurarono di restare. M’ero affezionato alla famiglia....
— Affezionato alla famiglia! — interruppi ironico.
— Sì: affezionato alla famiglia! Lo ripeto. Aggiungo che a Valdigorgo rimasi anche perchè una