Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 275 — |
dendo l’ora del colloquio con Roveni, paelavo a me stesso della morte ben diversamente da quando l’apprensione di essa annientava in me la vita, e mi pareva di esserci preparato con animo sicuro e freddo. La notizia della fuga di Claudio mi accresceva il fastidio di un destino avverso; accresceva l’odio che mi sospingeva contro Roveni. E Ortensia non mi amerebbe mai più come io l’amavo; e all’amicizia avevo già pagato il mio debito. Dunque?... In un duello a pistola non m’era difficile immaginare che Roveni colpisse me come alla fabbrica aveva colpito nella carretta. Era stato, quello, un ammonimento molto preciso....
Morire! «Quali dolci sorprese ci prepara la morte?» Credetemi: queste parole di Pascal mi suonavano ora all’orecchio con invito più dolce che quello d’andar a pranzo dal cavalier Fulgosi. Anzi! Un’impressione strana provavo, quasi di lungo soffrire che riceverà lenimento, o quasi di un amante che sarà appagato dopo lunga attesa.... Certo, poteva anche accadere che io ammazzassi l’avversario; poteva accadere quel che accade più spesso, che restassimo incolumi entrambi; ma, ad ogni modo, bisognava far sul serio!
A Milano non ci avevo molti amici. Deliberai, alla fine, che ricorrerei a due antichi compagni di scuola miei concittadini; l’uno ufficiale, che mi avevan detto di stanza a Milano; l’altro che sapevo esservi giornalista.
E risoluto, m recai ove mi aspettava Roveni.
M’aspettava, allo studio dell’ingegner Salghi, ritto in piedi tra la finestra e l’ampia tavola da