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Avanzando, io interrompo l’uno per dire all’altro:

— Ingegner Roveni! avrei bisogno di parlarle entro oggi, in libertà; senza testimoni. I testimoni, se mai, li troveremo poi!

Egli risponde, pallido più di me, corrugando un po’ le ciglia:

— Sta bene! Fra un’ora, allo studio dell’ingegner Salghi, viale Monforte, 5. Saremo soli.

— Sta bene — io ripeto; e col capo fo segno al cavaliere che mi segua.

Fulgosi era sconvolto in modo indefinibile; dava l’impressione di un uomo, e un uomo superiore, denudato all’improvviso là in mezzo a tutta quella gente che faceva colazione.

Come quando una repentina bufera agita, piega, rovescia un arbusto fiorito, sì che ne vedi il fusto brullo e le branche spinose, e i fiori e le fronde esterne sembrano vanità in balìa del vento, io vidi allora tutta l’intima povertà del cavaliere in quel fallace rivestimento d’eleganza e di rettorica. Mi seguiva tacito, a capo chino nonostante il puntello del colletto, e pareva attendersi l’ultimo sconquasso. Non gli diedi dell’imbecille: gli imposi di non riferire ad anima viva il mio incontro con Roveni e rimisi a miglior occasione l’invito idei pranzo. Dopo tutto gli dovevo gratitudine, perchè, mercè sua, affrettavo la risoluzione che mi premeva.

E mi recai da Guido come avevo divisato. Ma se nella bufera il cavalier Fulgosi scopriva miseramiente sè stesso Guido Learchi vi smarriva interamente sè stesso. Gli affanni in Guido erano fuori di posto; lo svisavano, e la sua faccia gioconda cedeva a impronte quasi di un dolore fi-