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rea fibra di Claudio fosse anch’essa piegata, infranta; anche la mente di lui fosse travolta in una disperazione che ne velasse la percezione della realtà. Essa ebbe come il presentimento che quella fuga sarebbe un doloroso e vano errore, e si provava a dissuadere il marito.

Questi, al nuovo ostacolo, abbandonò, per superarlo, il freno a cui si era tenuto pietosamente, e, affranto, rispose rivelando tutto: che non si lascerebbe nè arrestare nè processare nè condannare. I singhiozzi gl’impedirono di compiere la minaccia: che piuttosto morirebbe.

Allora Ortensia precipitò nelle braccia del padre. Lo pregava, lo scongiurava ad attendere facesse lei un ultimo tentativo.

Quale? con chi?

Con Learchi! Ancora lui, solo lui avrebbe potuto risparmiar l’onta, la morte?

Oh c’era un altro! Ma Eugenia sollecitò la figliuola:

— Sì! Va tu, con Mino!

Da prima Claudio si oppose; quindi, o perchè in quegli istanti fosse come il naufrago che s’appiglia a un fuscello, o perchè non gli reggesse il cuore di dire addio alla figlia e al figliuolo, parve accondiscendere.

Con tutto l’impeto, l’eccitazione del suo dolore. Ortensia condusse seco per mano il fratellino e si presentò con lui a Learchi.

Avrebbero impietosito un sasso; ma neanche l’innocenza di Mino, che piangeva, tra le braccia della signora Redegonda intenerì quell’uomo.

Rispose:

— Nulla da fare; lasciamo andare!

E allora.... (quel che io provo scrivendo que-