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— Debbo partire con i quattrini in tasca, questa sera. Capisci?

Allora il buon uomo mi scorse in volto una risoluzione e, nello stesso tempo, un’attesa penosa più di qualsiasi indizio di demenza. Impaurito più per me che per sè, calò le ribalte e chiuse la bocca dicendo:

— Cos’è successo?

— Debbo versare domattina, a Milano, ventimila franchi; e vendo il fondo.

Fosse la risposta che non del tutto a tono potè significargli poca confidenza, o fosse il dubbio che per quella misteriosa disgrazia io vendessi il podere lì per lì a un altro, il vecchio cadde a sedere, smorto anche nei bargigli e guatò intorno, quasi il compratore potesse nascondersi in qualche parte là dentro, o stesse per entrane dall’uscio, o dalla finestra —

Vende....; a chi?

— Ate!

— A me?!

Respirò, sollevò le palpebre a due terzi dell’altezza normale, e si cavò la berretta per ringraziarmi dell’onore. Mia disse piano:

— E il cumquibus?

— L’hai! O mi darai, per adesso, tutto quello che hai in casa. Ma bada! È un affare. Se non ti conviene, il fondo resta tuo, per questa obbligazione (e gli porsi la scrittura in carta bollata),... resta tuo; solo fino a quando avremo trovato un altro compratore.

Avevo parlato quasi duramente; ma aggiunsi abbastanza commosso:

— Son ricorso a te perchè son certo che non mi strozzerai; e poi perchè non vorrai portarmi via la casa dove è morta mia madre.