Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/251


— 249 —

che per voi esagero! Conoscete mio padre; sapete che dovrà abbandonare la sua casa (accennava alla villa), che era il premio di una vita di lavoro, che era il luogo dove voleva morire, dove nacquero i suoi figlioli; e io esagero! Mio padre non vuole abbandonarla la sua casa; non può credere di dover abbandonarla! Ieri mattina, con un operaio, nel giardino, disegnava nuove aiuole; diceva: — Quest’altr’anno leveremo i ligustri; pianteremo altri abeti nel prato. — Quest’altr’anno, diceva. Invece quest’altr’anno nuovi padroni raccoglieranno i fiori del nostro giardino; dormiranno nelle nostre camere. E io esagero! Quassù mio padre è stato un benefattore, ma gli operai, per cui faticava, non lo salutano più, lo incolpano della loro rovina.... E io esagero! E questo è nulla! La colpa dì tutto quello che è avvenuto e che avverrà, è mia! E io esagero!...

Come io cercavo parole di protesta, essa con mano convulsa m’afferrò a un braccio, mi fece ristare, e disse più piano, severa, in quell’agitazione contenuta con la fatica che esprimeva il suo sguardo fiso nei miei occhi:

— Sentite, Sivori! Voi siete sempre per noi l’amico di un tempo; siete per me quello di un tempo: un fratello. Non voleste così allora? Così doveva essere! Un fratello: non altro dovevate essere per me in passato; non sarete altro in avvenire.... È vero?; così! Dunque, sentite! Se domani io potessi trar d’agonia mio padre, tutti noi, con una sola parola, e questa parola mi ripugnasse come una viltà, un’abiezione; se con una sola parola io domani potessi salvar la vita di mio padre, dovrei vincere la ripugnan-