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vaso con un cucchiaio e le deponeva in un piattello; e poichè non poteva impedire alla sua bocca di sorridere ancora, scuoteva il capo per significare come disapprovasse quel che il marito diceva e direbbe, e con languide occhiate chiamava il soffitto in testimonio del suo dispiacere; delle sue buone intenzioni; delle sue rinnovellate speranze nel mio intervento.

Io ripigliai: — Dal Eugenia e Ortensia non ho avuto che notizie confuse; ma ho potuto comprendere il loro dolore perchè lei, che ha fatto tanto per Moser, debba essere o voglia essere sacrificato....

— Dolore? Ah ah! Ci vuol altro! Dolore! parole! Altro è il parlar di morte altro è il morire!

— Io credo si possa almeno attenuare le conseguenze....

— Parole, caro il mio amico! Parole! niente da fare! Meglio non parlarne....

— È vero o no — esclamai — che chi non vuole l’accordo dei creditori è lei?

— Io? — Parve cascar dalle nuvole brandendo la pipa. — Vede?; vedete chi è che inganna? Ci prendon tutti per imbecilli...., come mio figlio!

— Le senta....; — intervenne allora la Redegonda porgendomi il piattello delle ciliege.

— Lei dunque è disposto — proseguii rivolto al marito — a trattar dell’accordo?

— Io.... Io dico ripeto, torno a dire per l’ultima volta che non voglio più pasticci, non voglio avvocati e liti, non voglio curatori, non voglio crepare! Vogliono, quegli altri signori, il concordato? Mi diano una garanzia che tutto andrà liscio....; la garanzia che piace a me....; e son qual Se no, vada il resto, vada tutto!... Ci ri-

Albertazzi. In faccia al destino. 16