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me d’estate e la bocca ridente quant’era larga, s’aiutò con complimenti strepitosi:

— Che miracolo! che improvvisata! che degnazione! che bella visita! — E trafelate scuse: la casa in disordine, lei vestita male, col raffreddore! Il raffreddore infatti l’obbligava a farmi festa sternutando.

— Innocenzo! Innocenzo! — invocava.

Il signor Learchi, nuovo sindaco di Valdigorgo (mi ero dimenticato di dirlo), se ne stava davanti al camino nella camera da desinare, pipando pensoso più di sè stesso che de’ suoi amministrati ed economizzando con le molle le brace che rimanevano del ceppo ormai del tutto consunto. Alle esclamazoni e alle apostrofi della moglie si mosse, mentre io entravo, e senza far parola depose le molle; si levò di testa con una mano il cappellaccio (un cappello fuor d’uso, estivo ma buono a riparare dall’umidità invernale, tant’era unto); emise un lungo oh! levandosi di bocca la pipa con l’altra mano, e m’attese seduto, non restandogli più mani libere da reggere le brache che si era sbottonate per far largo alla digestione.

— Vedete chi è qua, Innocenzo! — ripeteva la moglie. — Che onore! Chi se lo sarebbe aspettato, con questo freddo?

Il marito era così lontano dall’aspettarsi una mia visita che tardava a dissipar dal volto di beone l’ombra della improvvisa seccatura; e mi fu visibile lo sforzo che fece di ricoprirsi con la maschera di uomo cordiale.

— Il signor Sivori! — ruppe a dire finalmente. — Il signor dottore! Oh oh oh! Proprio vero che le montagne.... Bravo! Sta bene?... Un pia-