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disgraziato, ma non posso, e chi può non vuole. — Non è un martirio? C’è da impazzire! Lo dica lei, Sivori, alla mamma ch’è meglio finirla, uscirne una volta, a qualunque costo!
Indovinavo che Ortensia, senza più speranza, cercava il mio aiuto per preparare la madre all’ultimo crollo. Io riflettevo. Ma nello stesso tempo, e pur così turbata, come Ortensia mi pareva bella! I capelli, sfuggenti al grosso pettine e diffusi, eran sollevati sulla fronte e la fronte bianca aveva un lume che non aveva avuto mai; il pallido viso dall’ovale perfetto aveva un lume che non aveva avuto mai! Bella di dolore, bella d’orgoglio!...
La madre taceva, a capo chino. Le chiesi:
— Se andassi io, ora, a tentar qualche cosa con Learchi?
Eugenia annuì; Ortensia, al contrario, scosse il capo come per un tentativo inutile; e la madre mi guardò quasi a dire: — Vedete?
Finchè ella trovò un pretesto perchè la figlia uscisse; e allora mi susurrò:
— Ortensia è forte, ma anche questa forza mi dà una pena! Ce in lei una sfiducia, un vuoto, una disperazione!... Sembra disprezzare anche la sventura; ma come soffre!
Vinta, Eugenia, proseguì piangendo:
— La rimproveravo una volta perchè stava oziosa; adesso ricama, cuce tutto il giorno per imparar a guadagnare: mangia pane asciutto per prepararsi alla povertà!
La signora, Learchi m’accolse quale un messo del Cielo. A esprimere la sua gioia, quasi non le bastasse il viso roseo e lucido d’inverno co-