Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/242


— 240 —

protratta dal rivedermi: l’agitava un’eccitazione nervosa; si premeva con una mano al cuore.

Risposi ricuperando del tutto me stesso e rivolgendomi a Eugenia:

— Le cose non sono certo al punto che il timore vi fa vedere e che io non vedo. Moser è tal uomo che in ogni caso saprà riparare. Intanto la stima dei buoni sarà cresciuta per lui.

— I buoni? — Ortensia esclamò stupita di udir questo da me. Con sguardo di nuovo ardente, iroso, aggiunse: — Oh dove sono i buoni? — Poi sorrise di un sorriso che io ben conosceva, che avevo sol visto fugacemente sulle sue labbra, e che ora v’insisteva: il mio sorriso d’una volta!

— Un amico buono è qui — disse la madre.

A che la figliola, sforzandosi a non ripetere quel sorriso:

— Un’eccezione! La sola. Ma gli altri! Cattivi; tutti cattivi, perfidi, vili! — Aumentava ad ogni frase, ad ogni parola la concitazione violenta. — Si divertono a tormentar mio padre coi rimproveri, con le accuse, coi consigli! Ci compiangono! Oh la compassione di certa gente che male fa! ipocriti!: godono del nostro male; ne sono felici; e ci compiangono!

— No Ortensia.... — mormorava Eugenia invano.

— E le promesse? «Vedremo; cercheremo; chi sa?; bisogna sperare!»; eppoi nulla. Non è un’agonia questa? Non sono atroci questi alti e bassi? Ora tutto piano, tutto liscio, tutto accomodato; ora tutto a monte, tutto perduto! L’ostacolo che pareva piccolo diventa enorme; una difficoltà da nulla diventa, un disastro! E tutti dicono, l’uno dell’altro: — Io vorrei aiutarlo quel