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per un meditato fine di vendetta egli doveva aver proposta la piccola somma. a Claudio.

In quel punto la porta laterale fu riapierta d’impeto. Ortensia s’arrestò su la soglia quasi pentita di un errore, quasi cessassie d’un tratto lo sforzo che l’aveva spinta di corsa fin là. Un istante; poi s’avanzò risoluta verso di me, che le andavo incontro.

— Come sta?

Non risposi. Ogni mia dissimulazione cadde; non potei nasconderle la violenza del mio cuore. E le sue labbra tremavano e il color roseo che le era corso alle guance disparve. Imbarazzata al mio imbarazzo. Ortensia attendeva ansiosamente che io togliessi lei pure di pena. Il pensiero che Eugenia ci guardava, mi sospinse; mormorai:

— Cara Ortensia!

— Questa bambina è forte — Eugenia disse mentre ci riaccostavamo a lei; e la trasse a sè e ne raccolse il capo sul petto a mo’ di una volta. Ma quando rialzò il viso, Ortensia mi apparve spaventosamente pallida; la vidi mordersi le labbra prima di parlare, per contenere la commozione; e parlando fissò su di me uno sguardò profondo. Io non mi sentii mai così debole come in quegli istanti, sotto quello sguardo prepotente. Non era un’accusa; era una condanna!

— Glielo dica anche; lei, Sivori, alla mamma, che non bisogna affliggersi tanto. Piangere perchè non siamo più ricchi! Non è una sciocchezza? — Anche nel tono della voce c’era un’acerbità, un’asprezza, quasi ostile. E un velo oscurò quel fervido sguardo. Non era in lei la semplice concitazione del parlare; non era più la commozione