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Tal sicurezza di parola e d’intenzione in me fece rialzare lo sguardo d’Eugenia; schiarì il suo volto, quasi s’accendesse di una nuova speranza non solo ma si compiacesse dell’energia nuova che io dimostravo. Proseguii lamentando di non aver trovato Claudio.

— Vi siete incontrati per viaggio.

— Mino?... Ortensia?

— Mino è a scuola in paese; Ortensia è già avvertita: ora scende.

Per vincere e dissimulare l’impazienza narrai della mia visita a Marcella e a Guido, e affrettai dimande su quanto era accaduto.

La signora mi riferì che il più ostinato avversario al concordato dei creditori era il vecchio Learchi. Conoscendo bene costui, ormai Claudio non sperava più che nessuna, cosa o ragione riuscisse a smuoverlo: era irremovibile, più che per altro, per il rancore del danno patito.

Lei, la povera Eugenia appunto perchè persuasa essa stessa che nulla valevano su Learchi le buone ragioni, era afflitta del non trovare nessuno, non un amico, non un congiunto, il quale piegasse quell’uomo toccandogli il cuore.

— Il male è che tanta cocciutaggine gl’impedisce, a Learchi, di vedere qual è veramente il suo interesse. Se non si fa il concordato, perderà tutto; se si fa, non perderà che una parte del suo credito.

Io chiesi:

— Siete ’certa di questo?

— Claudio e il curatore ne sono convinti.

Dunque all’ostinazione di un uomo così esoso doveva esserci un incitamento segreto; qualche ocosa o qualcuno l’acciecava! Dimandai anche: