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tevole. Se io avessi consumati gli anni migliori della mia giovinezza a guadagnare, Claudio ora non sarebbe stato alla mercè di amici venali! Invece ero vissuto quasi soltanto con il reddito del podere de’ miei vecchi, affittato al Biondo; uomo onesto ma non abile forse a trar dalla terra tutto il frutto che poteva dare. Vendendo quel po’ di roba, che mi resterebbe? La professione che avevo non curata sempre; ripresa da poco per disperazione o per necessità! Immaginare se Claudio permetterebbe simile rinuncia!

Ma al pensiero di Ortensia cedeva ogni difficoltà:

per risparmiarle dolore affronterei anche la miseria, con o senza il permesso di Claudio!


La strada dilungava cinerea sotto il cielo caliginoso; non incontravamo che qualche birocciaio intabarrato fino al mento.

Nei campi non c’era neve; appariva scoperto il tenero e pallido verde del grano tra gli alberi scheletriti. Lembi di neve restavano qua e là sul dosso dei monti, svelati solo di tratto in tratto; e la nebbia fumava contro le oscure moli con pigre volute. Le case dei contadini, chiuse, deserte, parevano avvolte nel freddo. D’improvviso, in quella solitudine di morte, proruppero da un’aia e corsero alla strada, alcune grida di gioia e risate. Eran poveri ragazzi mascherati con maschere di carta e cenciose sottane di donna. E rammentai che eravamo agli ultimi giorni di carnevale, e mi si riempiron gli occhi di lagrime. Quella gaiezza puerile, quasi insorgente a dispetto dello squallore e della tristezza che desolavan la campagna tutt’intorno, mi rattristò più che se avessi intravvisto un fastoso spettacolo di gioia,