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bligò a sedere a tavola. — Ci raccontierai poi della tua vita a Berlino.... Prima mangia, mangia come me.... Io non ho nessuna vittima su la coscienza, oggi! — E aggiunse facendo boccaccia: — Purtroppo!

Si sarebbe detto l’uomo più contento del mondo se tra l’una e l’altra delle primie cucchiaiate non mi avesse fatto un furtivo cenno d’occhio e di bocca che significava: «brutta storia!» Io, per non lasciar scorgere a Marcella tutta, la mia ansietà, accarezzavo il bambinone, che mi guardava torvo dalle braccia della madre.

— Su! da bravo! — l’esortava Marcella. — Non guardarlo in questo modo.... È l’amico dello zio Mino!

— Un amico ormai vecchio — dissi.

— Ma stai bene — Guido osservava.

— E tu che omone! I baffi però non sono troppo folti! (non erano più visibili d’una volta nella faccia canonicale) E voi, Marcella, che bella mamma!

Dalla maternità aveva acquistato una più bella pienezza di forme. Ma i suoi occhi miti non celavano l’intima cura.

— Ah sì! — ella mormorò.

— Saremmo felici, se.... Lei sa, è vero?

Assentii senza dir nulla. Guido interloquì di corsa:

— Abbiamo la nostra croce, ora; ma ce la leveremo presto d’addosso! Diavolo! Mio suocero non è uomo da avvilirsi se la macchina gli è uscita all’improvviso di rotaia! Riparerà; rimedierà.... — E vòlto alla moglie:

— Le notizie sono buone, sta tranquilla! Vogliamo desinare in pace e quiete.

Albertazzi. In faccia al destino. 15