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meglio che con i sospiri e i languidi discorsi. Non perciò le era divenuto antipatico! Essa non aveva ancor potuto dimenticarmi del tutto e forse si attendeva di rivedermi nel prossimo estate: da ciò la sua ripulsa.
Ma io non andrei; non dovevo tornare a Valdigorgo prima della fine dell’anno, se davvero temevo ch’ella perdesse per causa mia un felice avvenire! E che accadrebbe? Forse Ortensia farebbe tra me e Roveni un nuovo confronto: io dimostravo di averla abbandonata per sempre; egli, il rude e freddo Roveni, non si rassegnava ad abbandonarla: sperava, di superar la volontà di lei e di meritar affetto e gratitudine per tanta costanza. Le nature volontarie amano le nature volontarie. Forse Roveni vincerebbe.
Se poi tornasse vero quel che pensava Eugenia: «Quando Ortensia ha detto no, è no»...., oh allora!... Allora ogni ritegno cederebbe alla volontà di Ortensia e il nostro amore basterebbe alla sua e alla mia vita!
Vedete se speravo anch’io! Era una speranza che mi pareva or ragionevole, or folle; un’ansietà che durerebbe mesi e mesi, sino alla fine dell’anno.
A un nuovo invito di Claudio, nel giugno, risposi che non potevo allontanarmi da Berlino, perchè mi ero messo a esercitar la medicina. Ed era vero; e faticavo non senza fortuna. Ma chi osservando con quale intensità e alacrità partecipavo ora alla vita, avrebbe mai immaginato quanto io ero, stato infermo un tempo e quanto affanno avevo nel cuore?
Amavo la vita, ora; ne compiangievo le sofferenze; in esse mi ritempravo. Speravo.