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II.


Mi amava ancora? Era effetto di passion quel che a sua sorella e a sua madre sembrava difetto d’indole e di carattere? Se io mi rispondevo: — Sì, mi ama ancora — , ecco l’immaigine di Roveni che si affacciava a dirmi, come mi aveva detto alla fabbrica: «Fuori dei romanzi, nella realtà vera, non può resistere in una ragazza di neppur diciotto anni un amore che fu interrotto appena nato. Resiste in voi, spirito infermo!»

E mi adattavo a pensare che Ortensia soffrisse non per amore, ma per rancore, per l’amarezza della prima delusione, per l’abbandono in cui l’avevo lasciata. Non sempre però mi riposava questo pensiero; spesso anzi, per reazione, mi abbandonavo al ricordo di Ortensia con disperata voluttà e disperatamente godevo di quella mia passione come di un’elevazione sublime. S’acuiva allora in me l’intendimento delle più nobili facoltà dello spirito; mi pareva d’intender Dio. Ortensia, nell’aspetto di una giovinetta, era un’anima bella che aveva avvinta l’anima mia, a cui l’anima mia si era avvinta per sempre, contro ogni ritegno, ogni resistenza di pregiudizi e di piccoli doveri.

Stolto! Avevo creduto ingiusta quell’affinità di due anime per differenza d’età!; avevo misurato ad anni quel che è immortale!; avevo sacrificato a basse, convenienze la felicità di un amore trascendente la vita materiale e comune!

E una voce mi diceva: — Ortensia intende l’amore così!

Ah se avessi dato ascolto a quella voce!