Pagina:In faccia al destino Adolfo Albertazzi.djvu/207


— 205 —


— Carlo! Carlo!

S’abbandonò, rompendo in singhiozzi, disperata, al mio petto.

Io la risollevai un poco perchè, piangendo, vedesse nei miei occhi l’anima mia....

E la baciai nella fronte.


XXIV.


Tànn!... Uno.... Tànn!... Due.... Sei tocchi così. Fosse la campana di bronzo buono, o l’aria pura fosse più capace che altrove d’estendere, limpide e vibranti, le onde dei suoni, l’orologio di Valdigorgo cantava le ore. Rispondeva a colpi piccoli, nitidi, frettolosi, da lungi, quello di Paviglio.... Mezzanotte.

Io davo volta nel letto. A che pensane per non pensare a lei?

A quel che m’aveva detto Mosier. Dopo desinare l’avevo affrontato nello studio mentre egli, allo scrittoio, faceva conti.

— Claudio: parto domattina con la prima corsa. Debbo essere a Milano nel pomeriggio; e ci sarò!

— A Milano? Benissimo! Sabato ci debbo essere anch’io. Puoi attendere. Ci andremo e torneremo insieme. — E si era rimesso a scrivere e a borbottar cifre.

Sapendo che irritarmi gl’impedirebbe d’irritarsi, avevo ribattuto in tono decisivo:

— Ti ripeto che io debbo trovarmi là domani!

Tredicimila e quattrocento lire....