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Sospirò e disse:

— Lei, dottore, almeno ha la scienza....

— Almeno?

Vedendosi in pericolo, aggiunse subito:

— ....se sdegna l’amore.

— E chi le ha detto che io lo sdegni?

— Nessuno.... Immagino....; suppongo....; forse.... Ah! è qua l’amabile Ortensia. « Venite a noi parlar, s’altri nol niega!»

Ortensia, che sopravvenendo salvava il cavaliere dalla china perigliosa, non si curò di lui e si rivolse a me concitata, quasi per ira mal rattenuta:

— A messa in paese io non ci vado! Vado all’Oratorio. M’accompagna lei, Sivori?

Io non avevo ancor risposto che Fulgosi s’inchinò come a una regina, e disse:

— Anch’io, se crede.... — Ma ella l’interruppe, evidentemente decisa a non volerlo.

— Domenica prossima m’accompagnerà lei, cavaliere.

— Volentierissimo! Parigi vai bene una messa!

— Farà lei questo sacrificio.... — E Ortensia mi guardava.

— Un sacrificio — il cavaliere oppose — che il corrispondente della Campana invidierebbe. Legga, signorina, che cosa si dice qui.... — E le porse uno dei giornali.

Da prima sommessamente, poi forte, Ortensia lesse; ma nel suo volto pallido la lettura sostituiva tosto alla noia un’impronta di sarcasmo. Mi parve di vedere un’anima intristita. E quando dalle lodi del cavaliere «oratore splendido», degno di essere assunto non pure «alla più alta carica municipale, ma a quella di rappresentante