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piedi perduti in mostruose scarpe, quel miserabile aveva talvolta consolazioni per le quali sorrideva in altro modo, con un barlume di pensiero e di sentimento.
Ortensia gli chiese:
— Sai chi sono?
Subito egli, tutt’allegro:
— Ortensia di Claudio!
Fin da bambine Ortensia e Marcella gli recavano i dolci e le frutta.
— Mi vuoi bene?
— Come a Dio!
La ragazza ruppe in una risata esclamando: — Troppo! troppo! — Ma quel troppo rispondeva a una elemosina più copiosa del solito.
Scambiate poche altre parole col cieco, Ortensia mi chiese:
— va a spasso?
— Sì.
— Buona passeggiata!
Nient’altro ella disse; non dimostrò intenzione d’accompagnarmi, nè fece alcun accenno alle raccomandazioni paterne della sera innanzi. Fosse nel suo contegno delicatezza spontanea, o suggerita dalla madre, le scorsi in viso il sincero augurio che la passeggiata mi facesse bene. Quasi che camminando io potessi fuggir da me stesso!; quasi che io potessi non riferir la mia miseria a ogni cosa che trattenesse il mio sguardo, a ogni persona che incontrassi! Mi confrontavo a Giovannino. Ero forse men cieco di lui io che vedevo senza lume di ragione l’infinito universo e nell’infinito universo vedevo senza un perchè l’atomo del mio corpo, l’attimo della mia esistenza? Ma Giovannin almeno or s’adirava,
Albertazzi. In faccia al destino. | 2 |