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— Prima di tutto, perchè lo dice Anna. Povera diavola! Cercava persuadermi che lei sposerebbe Ortensia, naturalmente per trarmi nella rete. Non poteva capacitarsi, Anna, che Ortensia mi piacesse davvero!; sperava sostituirla! Ma ha visto ieri come dà la caccia, adesso, al dottor Minguzzi?
Intanto Roveni lasciava sospeso il discorso di prima. Ripresi io:
— E per quali altre ragioni le sembra inverosimile ciò che la Melvi dice di me e di Ortensia?
— È impossible che un uomo come lei abbia voluto innamorarsi di Ortensia; un uomo di studio, di studi ben diversi dai miei; un uomo che forse non ha mai pensato ad accasarsi e che, se mai ci pensasse, non si perderebbe con una giovinetta....
— Oh bella! — esclamai dissimulando la ferita che mi diede quest’argomento. — Non è possibile che io abbia voluto innamorarmi? Non potrei essermi innamorato senza volere?
— No. Io non credo all’amore fatale dei romanzi. O meglio, credo che gli amori romanzeschi siano per la gente debole, malata, senza volontà. La volontà, per me, entra anche nell’amore.
— Uhm! — feci io lieto di dare al colloquio un avviamento di discussione psicologica. Ed egli:
— Anche nell’amore c’entra la volontà! Ma scusi: un uomo sano, normale, con la testa a posto, desidera una donna. Che deve fare per ottenerla? Deve misurare gli ostacoli che lo separano da lei. Sono superabili? Avanti! Non sono superabili? E allora non ci pensa più!