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tacevo io! A suggerirle argomenti, era stata loquace: da sè non trovava da dire cose notabili. Del resto, le donne molto intelligenti si dimostran tali nell’eleganza e nel buon gusto: Ortensia non aveva sempre buon gusto.
— Perchè ti sei messa questa giubba grigia, che ti sta così male?
— Comincia a far fresco, la mattina.... È di flanella. Ma non la porterò più.
— Te l’ho detto un’altra volta che è un colore che ti fa parer brutta.
— E vero; non me ne sono ricordata.
E io, dopo una pausa:
— Sei infatti molto smemorata, Ortensia! Tua madre e tua sorella hanno ragione di dirtelo.
Rispose paziente, con un queto sorriso:
— Metterò giudizio, e lei non avrà più da sgridarmi.
Ahimè! I tentativi di rompere l’incanto erano vani! Essa mi guardava in un modo....
Ma a quella frase di «metter giudizio» rammentai le raccomandazioni che mi aveva fatte Eugenia e che avevo dimenticate da un pezzo. Tuttavia aspro ripigliai:
— Tua madre desidera che io ti corregga.... Son gli ultimi consigli.
Essa con un tremito nella voce (non m’ingannavo), esclamò:
— Ultimi? perchè ultimi?
— Ti Ripeto che debbo partire lunedì.
Sbigottite pallida (non m’ingannavo), mi fissò dicendo:
— Non lo credo; nessuno lo sa, in casa!
— Lo sapranno oggi stresso.
— Ma perchè? che è stato?