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XIX.

Mi amava?

Al sospetto rispose in me un proposito che poteva già essere effetto di rimorso: «Ortensia non deve soffrire!»; e per i pochi giorni che resterei ancora lassù, saprei attenuare ogni espressione affettuosa, ponderare ogni parola, correggere ogni sguardo, affinchè l’affezione di lei per me non prorompesse in amore e dolore, e il mio sacrificio fosse pieno e grande.

«Non deve soffrire! Come vuole sua madre, deve viver lieta sino a quando Roveni le manifesterà le sue intenzioni. Allora amerà e andrà sposa felice».

Virtù? Sacrificio? Non eran vane parole. Ma il pensiero di perderla interamente, tardi o presto, mi dava tale spasimo da scusarmi d’ogni pensiero più insano.

«Che io mi posponga a Roveni, è giusto; ma non è giusto che io creda alla felicità di Ortensia perchè egli le darà i gaudi dell’amor materiale ed ella soggiacerà alla turpe legge dei sensi».

Ed eccomi a chiamar ribelli sublimi! coloro che rifiutano di vivere nel mondo per rifiutarsi alla legge universale, bestiale e prepotente; e si mortificano e muoiono lieti d’esser sfuggiti all’inganno del piacere e d’aver servito alla sensualità. Avessi potuto rapir meco, salva da ogni cupidità e da ogni bruttura, la vergine che aveva inteso