Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 162 — |
rarle i miei antichi amori; di apprenderle il disprezzo, il ribrezzo, la nausea, la cattiveria che me n’era rimasta: accrescerle così orrore della sensualità, della colpa e del tradimento; ma avrei fatto male e mi vinsi.
Eppure si sarebbe potuto credere che qualche cosa di quel che turbinava nella mia testa giungesse alla mente di Ortensia.
Uscì a dire con disgustò:
— Anna, che sguaiata! Non ha avuto il coraggio di chiedermi se l’accompagnerei ancora alla fabbrica?
— E tu?
— Io le ho risposto di no. — Perchè no? — mi ha chiesto. — Perchè no! e basta. — E lei: — Avrai da tener compagnia a Sivori. A te, che gli vuoi bene, non fa le critiche che fa a me.
— Certo che gli voglio bene a Sivori: tanto tanto! — Gliel’ho detto perchè ci ha rabbia. Ma non parliamone più, di colei. Mi fa ribrezzo!
Se non che un istante dopo aggiunse:
— Sa che Anna studia il canto?
— Per caffè-chantant è adatta — io mormorai.
— E sa che nome mi ha messo a me, per canzonarmi? «La Regina Ortensia di Valdigorgo.» Crede di farmi dispetto! Eh! perchè faccio spesso a mio modo e dico: piace a me e basta; comando a tutti, anche a Sivori, il nome non mi sta male!
— Anche a Roveni comandi?
— Sì che anche Roveni mi ubbidirebbe! Ma non comando mai nulla, a lui.
Io ripresi, senza più sorridere, con risoluzione che sembrò improvvisa:
— Anna lasciala cantare. Quanto a me, presto