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evidente espressione d’amore; nè l’avaro che vide rubarsi un tesoro patì mai tanto quanto io a seguire con l’occhio, nel ballo, Ortensia e Roveni. Se parlavano, mi avvicinavo per udirli; se ridevano, ne chiedevo, dopo, il perchè a Ortensia.

A poco a poco mi si faceva strada nell’animo il sospetto che fossero d’accordo per ingannarmi; solo per il piacere d’ingannarmi; oppure pensavo che Ortensia mentisse meco per pietà, accortasi della mia passione; o anche perchè fosse stata sua madre a pregarla d’avere misericordia di me....

A questo punto! A tal punto cresceva il mio soffrire che in certi momenti mi pensavo in diritto di confessare il mio amore.

Ma non dovevo. Per la sua felicità, non dovevo! per la pace di Claudio e di Eugenia, non dovevo! per la mia dignità e per il mio orgoglio, non dovevo! Soffrire e tacere! Vederla ignara e tacere! Vedermela, portar via, e tacere!

Spiavo. Un pomeriggio Roveni venne ad attendere Moser. Io lasciai che egli si accompagnasse, per il viale del giardino, con Ortensia, allontanandomi con un pretesto. Poscia, di nascosto, li prevenni dalla parte opposta e mi nascosi dietro la macchia ch’era intorno agli abeti gemelli. Quando afferrai che parlavano di lawn-tennis ebbi tal gioia da svelarmi con un grido, come fossi là per impaurirli.

Alla gelosia ingiusta, seguiva più tormentoso il rimorso; e per purificarmi del veleno che mi sembrava avere ingoiato, avrei versato il sangue a gocce, da ferite. Che, dolcezza se avessi potuto domandar perdono a Ortensia! Per giustificarmi almeno un poco, entro di me, ebbi desiderio di nar-

Albertazzi. Infaccia al destino. 11