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na abbassando le palpebre raccoglieva ad una ad una, quasi dalla luce esterna, Le idee. Erano ricordi? desideri? propositi per l’oggi? speranze lontane? Era amore?

Ah non per me, che aspettavo ansioso, da basso: ella stessa non sapeva per chi, ma non per me, fermo nel proposito di non dirle: «il tuo affetto, sorella, non mi basta più!»

Quando giunse, mi parve che i suoi occhi mi leggessero in cuore; che il mio segreto le fosse già manifesto; ch’ella stessa fosse mutata. E durante il giorno mi parve che le sue assenze per le faccende domestiche si prolungassero troppo. Forse la tratteneva Eugenia, che forse già sapeva di me....

Voglio confessare tutti quei miei affanni, quelle mie debolezze, quelle mie tristezze!

Non solo provavo vergogna dell’infingimento: quel mostrarmi allegro e disinvolto con Eugenia e con Moser; quello sforzo a padroneggiarmi e a non mutar colore se si parlava d’Ortensia ch’ella non ci fosse, e al sopravvenire improvviso di lei; quel cercarla non più franco e senza incertezza come prima, ma con desiderio irrequieto; quell’attenderla a lungo in un luogo senza parere....: non solo. La gelosia divenne in me torva quale la gelosia di un uomo in preda a un amore senile; maligna e gretta quale la gelosia di un marito vecchio per una moglie giovine. Invano a veder Roveni ballare con Ortensia, nelle ultime sere, tentai persuadermi che egli amava senza impeti e senza urti; a sorrisi di poca significazione ed a inavvertibili occhiate, quasi prendendo l’amore per un gioco tranquillo: ogni suo sguardo, ogni sorriso, ogni atto valeva per me un’ardente ed