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prima volta l’anima di una giovinetta. Innamorata di me! Quale delizia, quale voluttà più grande che rivelare a sè stessa, innamorata, un’anima? Con una sola parola, che sorriso non avrei io raccolto da quelle labbra? che bacio? — Non dovevo! E forse.... Illusione! illusione! Convinta e ferma in un bene fraterno, ella forse apprendendo il mutamento avvenuto in me, non potrebbe amarmi: a una mia parola d’amore si ritrarrebbe, forse, con un freddo senso di ripugnanza, di profanazione, triste e delusa; nemica per sempre. Tradire il nostro affetto! Sì, ella mi voleva bene come a un fratello, con tutta l’anima! Sì, questo doveva bastarmi! O tanto, o niente! ad altri l’amore: a Roveni, presto, i primi palpiti; le prime commozioni.... — impossibile che io sopportassi!

Ricominciava in me la battaglia; e per non esser vinto m’afferrai con tutta la volontà al proposito già preso: dissimulare e parlare, quel giorno stesso, a Eugenia. Ma non sapevo come introdurmi nel discorso di Roveni. Ci voleva un pretesto; nè potevo addurre le chiacchiere della Melvi senza turbare Eugenia, se le ignorava. Mi venne in pensiero Marcella, da cui apprendere almeno se anche lei, come Anna, dubitava che io amassi Ortensia.

Con che invidia osservavo ora la quieta Marcella! I suoi dolci occhi esprimevano la fede costante in una felicità avvenire, attesa senza colpa e senza dubbio. Con che fatica mi trattenni dall’aprire a lei il mio cuore e confessarle, — Amo tua sorella. Dimmi tu: sono pazzo?

Le dissi invece: — Per fortuna le Melvi non vengon qua di giorno. Se no, mi taglierebbero i panni addosso.