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gliava il pensiero che altri sguardi d’amore si fossero posati su di Ortensia prima de’ miei: questo il mio dolore, il mio sdegno, la mia rabbia come per una violazione patita, par un furto crudele! — L’anima d’Ortensia — mi dicevo durante l’ambascia — deve essere mia divenire interamente mia: a ogni costo!

Non era giusto che fossi io la vittima; che per tutto trovassi dolore, io; che dal destino fossero contaminate le mie intenzioni più pure, i miei affetti più semplici, innocui, generosi!

Ah io avevo errato a credere in un affetto di misura e di natura fraterno? In me, in un uomo della mia età quel concetto e quella fede dì un affetto fuori dell’ordine umano meritavano rimprovero o scherno? Io meritavo compianto! E se Ortensia, non esperta del cuore umano, aveva consentito ingenuamente a quell’affetto semplice e naturale, ebbene io sapendo che il suo affetto era già teso all’estremo grado, non esiterei....: ancora un passo, una parola sola, e io farei vibrare d’amore quell’anima! Perchè ristare? Non era una colpa che io avessi vent’anni più di lei, e a nessuno, non al Fulgosi e nemmeno ad Anna, pareva inverosimile che io l’amassi e ne fossi amato. Io potevo contare ancora quattordici o quindici anni di forte virilità. Sano, ero. Quante infermità psichiche sono generate da cause che non toccano gli organi essenziali? In una appunto, per cause estranee alla fisiologia, era pur io caduto; ma già me ne sentivo risollevato.

Non mi temevo più in preda d’un misterioso male, io, che altro malanno non avevo avuto se non il mio pensiero; io che un semplice affetto era bastato a guarire! Del resto, mi sarebbe fa-

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