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inevitabile. Comprendevo fin d’allora che sarei dovuto fuggire subito, anche per pietà di me. Fuggire? Ma io non scorgevo più che due termini a un imminente, lungo, incommensurabile, sconosciuto soffrire: o la felicità o la morte! E la felicità non era assurdo pensarla? Il cavalier Fulgosi non sapeva che non solo la differenza di età mi divideva da Ortensia. Non avevo una fede, io! Non avevo fede in me; e l’amore non basta alla felicità; e renderei infelice Ortensia perchè sarei sempre un uomo infelice! Dunque: fuggire! Non udir più la sua bella voce; non rivederla mai più! Andrebbe sposa.... E perchè non a Roveni?

Possibile che in quel che si diceva non ci fosse nulla affatto di vero? Ma Eugenia non me ne avrebbe detto nulla? Mi sembrava che io e Ortensia fossimo avvolti in un mistero; e poichè nei frangenti della passione anche ciò che accrescerà il male assume spesso l’illusione di un bene, mi parve che chiarir il mistero potesse alleviarmi il nuovo tormento. Ma perciò dovevo dissimulare, fare il disinvolto, osservare freddamente.... Non ci riuscii.

La sera Roveni, entrando, guardò al solito modo; ma Ortensia non era vicina a me. Tentava di persuader Mino a ubbidire. Oh come ho viva nella memoria questa scena!

Quando aveva più sonno Mino si ostinava a star alzato, e la vecchia cameriera lo chiamava invano. Quella sera egli pretendeva che l’accompagnasse Ortensia. Nascondeva il viso nella poltrona piagnucolando e sgambettando contro tutte le sollecitazioni del pubblico; anche contro di me.