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XV.
— Il signor Oliviero mi piace! mi piace molto! — disse Ortensia riprendendo il romanzo e rimettendosi al solito posto, contro alla porta della terrazza.
Ancora su la soglia di quella io le voltavo le spalle, impietrato sotto il peso della cosa enorme: l’amavo!
— Dove siamo rimasti, Sivori?... Prego! Stia attento qui, adesso. Il mondo non casca più e il cavaliere, grazie al Cielo, se ne è andato!... Au revoir!... Ah! ecco dove eravamo.... Senta dunque.
Riprese a leggere. Io non osavo riguardarla. D’un tratto, la guardai...., in piena luce; nella luce d’una beltà divina. E non era più come una sorella.... Destinata in moglie a Roveni.... L’amavo! io l’amavo!
Tumultuarono in me, sotto il peso della cosa enorme, in quella luce di rivelazione, sentimenti mal definiti e violenti: gelosia; rabbia quasi per una sanguinosa offesa; dolore quale di chi patisce il furto di ciò che ha più caro....; strazio: Ortensia mi aveva ingannato! Tutto quel tumulto, tutto quel peso enorme mi travolse come nella rovina estrema della mia esistenza; mi sconvolse e mi oscurò il pensiero intorno a un’idea sola, superstite, viva e fugace come un lampo: ucciderla! Con una mano afferrai la porta della terrazza, mi trattenni colla sensazione di chi si afferra a uno sterpo sul lembo di un precipizio,