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d’ira; tremavo; non vedevo più l’altro, che balbettava:

— Ma.... ma...., dottore.... È un’offesa....

Ancora tacqui. Durante il nuovo silenzio freddo e pesante il poveromo si chiedeva che cosa gli restasse a fare. Intascare l’astuccio.... E poi? Mandarmi i padrini. Se no, la dignità del futuro sindaco di Valdigorgo correva un rischio terribile. Un gentleman a rischio di parer vile! Ma, d’altra parte, urgeva non comprometter la pelle. Che fare, dunque? Ah l’ingegnoso diplomatico che trovata ebbe!

Arditamente e solennemente disse:

— Dottor Sivori: lei mi ha offeso; lei ha offeso.... un vecchio!

Quasi disperato, per salvarsi, riconosceva ciò che altrimenti gli sarebbe stato più grave di ogni insulto: si confessava vecchio!

Ma non solo per questo io ruppi in una risata ironica, mentre Ortensia stava per rientrare....

E a veder Ortensia, il cavaliere, come ricuperasse l’anima che il mio riso respingeva su l’abisso, con uno sforzo sublime di spirito, mi lasciò, andò alla volta della ragazza, e varcando la porta salutò franco:

Au revoir, signorina!