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pi correvano e indugiavano su la terra, o serpevano tra l’erba, o si ricercavano sotto terra; le anime di tutti i fiori e le anime d’ogni natura vegetativa; le anime delle acque fluenti, dei fuochi e dei vapori latenti; le anime in tutte le forme ancora ignote ad occhio umano, e l’anima mia. E per l’addietro io avevo infranto in me il vincolo di tale comunione! Per essere felice, m’ero staccato dalla universale vitalità; al lume del sole avevo creduto poter opporre il lume del mio pensiero, e vivere! Pazzo!
Ora io mi gettavo su l’erba col gaudio di un bambino che ritorni tra le braccia della madre. Navigavo con lo sguardo per il cielo fin dove lo sguardo poteva resistere, e ascoltavo ogni più debole suono, e addentrandomi con lo spirito nelle sensazioni molteplici, smarrivo felice la continuità del mio pensiero. Oh non pensare! non pensare mai più! e vivere!
Nè pensavo ai filosofi che predicarono il benefizio del tornare all’amore della terra e della campagna: sentivo in me una virtù superiore alle loro concezioni.
E non pensavo al piacere di chi va per i campi in traccia della sua scienza di cause e di effetti, nè alla consolazione del poeta solitario il quale chiama cielo e terra a testimone del suo amore.
Perchè io sapevo di una vita più viva, di una consolazione più pura di una gioia più umana e naturale insieme: quella della fanciulla che viveva meco là fuori, nel giardino, con finezza sensitiva, con anima ignara, con intelligenza serena. Per Ortensia tutto viveva; a lei tutto parlava, senza sua riflessione, spontaneamente. Strapparla via di là, a un tratto e per sempre, sarebbe stato come recidere un fiore.