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zio di cielo, passeri traversavano, pari a frecce, e le rondini esercitavano obliqui voli e volteggiamenti.
Là dentro, nel giardino, ricevevo adesso impressioni di cui non credevo più capace il mio spirito; mi beavo nell’amore della campagna. Vedevo che riflessi metallici il sole traeva dalle foglie lisce delle magnolie e dei lauri; come penetrava radioso tra il folto degli abeti; cohe toni gialli suscitava dalle acacie e dai tigli; che denso e lieto verde gli opponevano le tuje; di che sovrano fulgore investiva i fiori e allagava il prato. Poi, di quelle piante conoscevo tutte le attitudini e le movenze: dai molli abbandoni nell’aria mite, alle agitazioni penose nella furia del vento. Anche avvertivo effluvi di profumi semplici e commisti, alcuni dei quali da me non avvertiti mai. Certo, in quella famiglia di piante ed erbe conoscevo pur dei rami che intisichivano, e steli che pativano, e fiori che perdevano petali; ma tali indizi di infermità e di morte sparivano dal mio sguardo confusi in un vasto e complesso aspetto di giovinezza, di vita intensa, feconda, continua, gioiosa: fiori e verde, luce e calore, giovinezza e amore!
Il sole! il sole! Finalmente nell’eterno splendore che avvolgeva tutte le cose io rivedevo l’energia della vita universale e nella vita universa tornavo a sentire me vivo. Al cielo, che bianco intorno al divino lume diventava con insensibile gradazione del più puro cobalto e del più puro indaco, tendeva da tutta la terra un’anima sola, letificata: e in quella letizia comunicavano con voci udibili e con voci inaudite le anime di quanti corpi volavano per l’aria; le anime di quanti cor-