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temevo tanto; edotto dalla scienza, non sapevo perchè ora vedessi un male in una necessità fisiologica, se qualche imperioso moto del sangue e dei sensi richiamasse in Ortensia immagini sensuali. Temevo; soffrivo; e mi consolavo a guardarla.... Mi ripetevo che voci di colpa erano giunte al suo orecchio, ma non all’anima sua; e io avevo ben visto in lei il contrasto fra la voglia puerile di mostrarsi perspicace e il pudore istintivo che le faceva parere enorme quel che ricordava; il lume degli occhi, mentre parlava, e il lieve colore passato nelle sue guance, subito avrebbero dovuto accertarmi che a lei ripugnava rimeditare ogni impurità, proprio per un pudore d’istinto; per uno oscuro sgomento dello spirito; per una nativa repulsione da ciò che l’intelligenza le aveva appreso senza volere. E la stessa sua attività fisica....

— Ebbene? Non dice più nulla? — mi chiese tutta contenta di costringermi a pazientare con lei nella ricerca. — A che pensa? Ohe! signor dottore!...

Ma repentinamente io avevo osservato.... Gridai — Là! — Ne avevo compiuto il monosillabo che Ortensia, con più alto grido di gioia, raccoglieva il quadrifoglietto, al margine del fosso.

— L’ho visto prima io! — feci rallegrato, più che dal caso, da quella allegrezza di lei, che bastava a dissipare dalla mia mente e dal mio animo l’ultima ombra.

— No, prima io! Mi chinavo a raccoglierlo proprio quando lei ha detto: — La!

— Non è vero!

— È vero! — S’inquietava. Finchè, rabbonita, mi disse: